Personaggio atipico, originale, Natale Imperatori fu una Camicia Rossa che veniva da Lugano, in Svizzera, e fu un Garibaldino decisamente “originale”. Me ne ha parlato il 15 maggio scorso, anniversario della battaglia di Calatafimi, un amico luganese, che non sapeva nemmeno che io facessi parte dell’ANVRG.
Questa battaglia coinvolse anche il nostro protagonista che ebbe una vita militare avventurosa e romanzesca iniziata con la partecipazione alle 5 Giornate di Milano e finita col carcere in Nuova Caledonia.
Natale Imperatori nasce a Lugano il 13 marzo del 1830; a 15 anni lavora in una tipografia. Ben presto rimane affascinato dalle carismatiche figure e dagli ideali di Mazzini e di Garibaldi.
Diciottenne partecipa alle Cinque Giornate di Milano e poi si unsce alle Brigate garibaldine che operavano in Lombardia. Tornato poi in patria per svolgere il servizio militare, che termina nel 1850 col grado di caporal maggiore, si arruola col fratello Enrico in un reggimento di mercenari svizzeri per combattere contro gli Austriaci nel nord Italia ma, per un beffardo gioco del destino, vennero inviati a combattere a fianco dei Borboni nel sud della penisola. Dopo qualche anno i due fratelli disertano e si uniscono al Corpo dei Cacciatori delle Alpi. Nel 1859, durante la Seconda Guerra d’Indipendenza, Imperatori combatte dunque con Garibaldi fra Varese, Como e Brescia. Nel 1860 si imbarca con i Mille.
Il 15 maggio partecipa alla battaglia di Calatafimi: è noto che si trattò di una battaglia molto complicata e difficile sia per la conformazione del terreno, con i Borboni in posizione dominante su un’altura e i Garibaldini che dovevano arrampicarsi terrazzamento dopo terrazzamento fino alla cima, e sia per la netta inferiorità numerica delle Camicie Rosse, un migliaio di uomini contro 2.500 avversari. Ma vinse Garibaldi e la Storia d’Italia cambiò.
Su questa vittoria e su ciò che la determinò si è discusso e scritto aslungo, ma non esiste una risposta univoca; diversi fattori possono aver giocato a favore di Garibaldi, sia separatamente che insieme. C’è chi ha addirittura parlato di corruzione degli ufficiali borbonici (da escludere), chi della sorpresa di trovarsi di fronte non una banda di straccioni ma soldati determinati comandati da un abile stratega militare, o ancora del timore dei regolari borbonici di dover combattere alla “baionetta”, e soprattutto della paura generata dal sopraggiungere dei “Siciliani”.
Sta di fatto che quando Garibaldi, dopo aver detto a Bixio la famosa frase “Qui si fa l’Italia o si muore” con uno slancio uscì dall’ultima balza fu accolto da una scarica di fucileria che non lo uccise per buona sorte e per la protezione del fedelissimo Augusto Elia che lo riparò col proprio corpo e che fu ferito al suo posto. Il furioso corpo a corpo che ne seguì terminò con la ritirata dei Borbonici. E fu la Vittoria.
Si racconta che durante la Battaglia sull’altura squillarono segnali di trombe dei Borboni e un volontario che si trovava casualmente vicino a Garibaldi riuscì a decifrarli e ne riferì il significato al Generale. “Come lo sai tu? – Gli chiese Garibaldi – Se stasera sarò ancora al mondo ve lo spiegherò, rispose il volontario (che era proprio Natale Imperatori, che aveva imparato quesi segnali prima di disertare!) Garibaldi gli credette ordinando l’attacco decisivo per l’esito della battaglia”.
Per questo motivo Imperatori il giorno dopo fu promosso ufficiale e decorato con una Medaglia al Valore.
Terminata la spedizione dei Mille, Natale combattè ancora con Garibaldi nel 1862 sull’Aspromonte, ritirandosi poi a vita privata.
Ma nel 1863 Imperatori, sempre fervido Mazziniano che odiava i Savoia (anche a causa dell’Aspromonte) e tutte le Monarchie, partecipò ad una congiura per uccidere Napoleone III, visto come un nemico per la protezione che accordava sin dal 1849 allo Stato Pontificio, e dunque ritenuto un ostacolo per giungere alla liberazione di Roma. Inoltre, era considerato causa, attraverso i Savoia, del voltafaccia d’Aspromonte. I congiurati partirono da Lugano e si recarono a Parigi. L’idea era poi, una volta compiuto l’attentato, di rifugiarsi a Londra, dove già si era recato anche Mazzini, ispiratore dell’operazione. Ma l’attentato non ci fu: il 3 gennaio 1864 perché la polizia irruppe nell’hotel dove i congiurati si stavano preparando all’azione e li arrestò tutti. Fra essi Natale Imperatori “di professione Libraio, di Lugano”. Mazzini venne condannato in contumacia. L’onorevole Francesco Crispi si affrettò a dichiarare che nessuno di loro apparteneva alla “leggendaria spedizione”, negando ‘evidenza. Tra i congiurati, Angelo Scaglioni e Raffaele Trabucco avevano partecipato a successive spedizioni, mentre il quarto congiurato, Pasquale Greco, fu invece sospettato di aver fatto il doppio gioco ed averli fatti arrestare. A quel punto Imperatori fu cancellato dall’elenco dei Mille e gli fu revocata la Medaglia al Valore e la Pensione da Reduce (venne poi reintegrato nell’elenco, dove a tutt’oggi lo si può trovare).
Fu quindi condannato a vent’anni di carcere da scontare nel bagno penale della Nuova Caledonia, allora possedimento francese. Di anni ne scontò solo quattro, per la caduta del Secondo Impero, seguito alla sconfitta nella Guerra Franco-Prussiana e all’amnistia. Tornato a Lugano, Imperatori simpatizzò per l’anarchico e filosofo russo Michail Bakunin, amico di Garibaldi, e collaborò con Benoît Malon elemento di spicco della Comune di Parigi (1871) e del movimento socialista francese, rifugiato anche lui a Lugano.
Infine, Imperatori fu fra i sostenitori della cosiddetta rivoluzione svizzera del 1890 quando salì al potere un governo liberale-radicale. Dovette poi intervenire l’esercito, su mandato del Consiglio Federale, per imporre un governo di transizione di liberali e conservatori e ristabilire l’«ordine». Imperatori si ritirò allora nella sua cartolibreria, continuando però a vivere, come ricordò il Sindaco di Lugano Elvezio Battaglini ai funerali civili, nelle sue convinzioni «nitide e incrollabili» e nel «libero pensiero». Morì a Lugano nel 1909 e al suo funerale il Sindaco, come detto, tesseva le sue lodi con qualche dimenticanza, e la fanfara suonava l’Inno di Garibaldi.
Umberto Alliata
Presidente A.N.V.R.G. Sezione di Milano